venerdì 23 ottobre 2015

Jim Lucertola Morison


Gli Stones erano     sporchi,
ma i    Doors     terrorizzavano

         di Matteo Tassinari
Vi sembrerà paradossale, ma il vero motivo del successo postumo dei Doors e della loro mitizzazione, non è stata tanto la morte di Jim Morrison - Parigi, 1971 - quanto la pubblicazione, nove anni più tardi, della sua biografia. No one here gets out alive (in italiano, "Nessuno uscirà vivo di qui"), firmata da Jerry Hopkins e Danny Sugerman. "Ogni volta che ascoltavo "The End" significava qualcosa di diverso per me. Non so cosa cercavo di dire quando l'ho scritta. Era nata come una semplice canzone d'addio; addio forse solo ad una ragazza... ma io lo vedrei piuttosto come un addio all'infanzia. Non saprei specificarlo. Le immagini di quella canzone sono sufficientemente complesse e universali da potergli attribuire qualsiasi significato tu voglia".
Morrison bohémien

 Provare i confini
della         realtà
Divenuto un best seller mondiale, il libro ha di fatto rilanciato drasticamente le vendite dei dischi della band e, allo stesso tempo, ha contribuito in maniera decisiva alla creazione di quell'alone bohémien che ha da allora pesantemente caratterizzato il ruolo di Morrison nell'immaginario collettivo. Da lì in avanti le pubblicazioni dedicate ai Doors - anche in Italia - si sono sprecate, tanto che tentare di farne un elenco completo è impresa pressoché impossibile. "È triste che tanti esseri umani restino seduti a guardare qualcosa. Lo spettacolo di milioni e milioni di persone accomodate nelle sale dei cinema o davanti alla tv tutte le sere, che guardano una riproduzione della realtà di seconda o terza mano, invece di capire che il mondo non è nei loro salotti, ma fuori dalle loro calde e rassicuranti mura. Questo modo di accontentarsi delle otto ore lavorative, è assurdo. Questa inerzia, credo si tratti della migliore macchina ipnotizzatrice che getta la gente in uno stato di sonnambulismo". (Jim Morison, L.A., 1969)
Eccessivo agiografismo
Quasi tutte, però, hanno seguito la falsariga dell'opera di Hopkins e Sugerm, spesso estremizzando quello che, col senno di poi, era stato il loro errore: eccessivo agiografismo nei confronti di Morrison, insieme, l'esasperazione e la mitizzazione degli elementi più scandalistici della sua biografia. Più che il ritratto di un artista o anche solo di un uomo, ciò che usciva da quelle pagine era un personaggio unidimensionale, sempre e volutamente sopra le righe, propenso a quasi ogni tipo di eccesso ma privo della profondità o anche solo del senso dell'umorismo che i suoi amici più stretti gli hanno sempre attribuito e riconosciuto. Se quindi ora Jim è visto da generazioni di adolescenti come nient'altro che un simbolo della ribellione e quell'abuso chimico, gran parte della colpa va attribuita a loro e a quanti, imitandone l'esempio, ne hanno tracciato la parabola sottolineandone soltanto gli aspetti più pruriginosi e legati al gossip.
 L'apocalittico 1973
Tra loro, Oliver Stone, col suo film The Doors. Fortunatamente, per chi ha voglia di ascoltarle e non solo di sentirle, ci sono le canzoni a rimettere a posto le cose. Non a caso, alcuni dei migliori volumi sui Doors sono proprio legati alla sfera dei testi. Pensiamo per esempio al saggio di Wallace Fowlie, che ha tracciato un parallelismo tra Morrison e Arthur Rimbaud (pur pagando il fatto di essere un critico letterario digiuno di rock). Oppure, allargando il discorso ma rimanendo sempre in un ambito letterario, ricordiamo lo studio di Fabio Rapizza, che ha analizzato i rapporti fra i Doors e il teatro. Ray Manzarek (tastierista), Robby Krieger (chitarrista) e John Densmore (batterista) e Jim Morison, seppero rimanere uniti per otto anni di carriera esplosiva, mondiale, al alta gravità e tasso alcolico, fino all'apocalittico 1973, due anni dopo la morte di Jim Morrison, avvenuta il 3 luglio del 1971.
"Waiting For The Sun"
Altrimenti, per trovare materiale scevro da sensazionalismi, ci si deve rivolgere a opere di carattere generale in cui la musica della band viene collocata all'interno di un contesto storico, come "Waiting For The Sun" di Barney Hoskyns, dedicato alla scena di Los Angeles dal secondo dopoguerra in poi. Per i Doors, ma più di tutti per Jim, la chiave di volta della percezione, era il dolore: "l'elemento che può ancora risvegliarci. La gente tenta di nascondere la propria sofferenza, ma è un errore grave. Il dolore è qualcosa da portarsi dietro, come una radio. Puoi avere cognizione della tua forza affrontando il tuo dolore". Ma non a tutti riesce, e lui stesso ne è la dimostrazione. "Tutto dipende da come lo sopporti. La sofferenza è un sentimento e i tuoi sentimenti sono parte di te. Se ti vergogni di loro e li nascondi permetti di distruggerti. Ognuno dovrebbe rivendicare il diritto di esibire il proprio dolore". Se serve, ma non credo, sono profondamente d'accordo.
 Il sound veggente 
del poeta
Lavori approfonditi, senza dubbio, ma sempre concentrati su un singolo aspetto di quella che, invece, è stata un'esperienza dalle innumerevoli sfaccettature. I testi delle canzoni dei Doors (la maggior parte di Morrison, coltissimo, intellettuale, vorace divoratore di libri delle più disparate epoche e tematiche). Sono influenzati dagli scritti del già citato Aldous Huxley, influenze sulla poetica dei Doors sono rintracciabili nel pensiero di Friedrich Nietzsche, nell'antropologia, nella letteratura antica, romantica, simbolista, surrealista, moderna e nella cultura classica e del mito in genere, come chiaro riferimento all’Edipo re di Sofocle nella canzone The End.
Aldous Huxley
Da Rimbaud a Morrison
passando per porte 
Uno tra i poeti più amati da Morrison fu Rimbaud, sosteneva la tesi dello sconvolgimento dei sensi, necessario per divenire "veggente". Il sound dei Doors è divenuto celebre per le evoluzioni alla tastiera di Ray Manzarek, appassionato di J.S. Bach e della Classica, del jazz e del blues di Chicago, lo stile di Robby Krieger la cui chitarra echeggiava la classica spagnola ed il flamenco, la musica indiana e modale, il free jazz, lo slide blues bottleneck e la musica classica e per finire, il batterista Densmore il cui stile unico, esotico ed espressionista deve moltissimo al jazz ed al tribal.
Jim si considerava un poeta.
Un errore di autovalutazione notevole, e forse dove Morrison s'è perso strisciando la sua immagine, rovinando parte della sua immagine. Diciamolo chiaro: Jim Morrison e il suo poetar, facevano schifo. Era perché le sue opere in versi, per quanto a tratti interessanti, quasi mai riescono ad avere l'efficacia e lo spessore delle canzoni. Da queste, quindi, si deve a nostro avviso partire per riuscire ad avere un quadro quanto più possibile dettagliato della visione del mondo di Morrison e soci. Non una biografia - sebbene, inevitabilmente, molti elementi biografici facciano capolino - bensì un'analisi delle liriche che al tempo stesso tenga conto dell'aspetto musicale e lo prescinda, collocando il tutto all'interno del periodo storico di appartenenza e andando a creare parallelismi e cercare riferimenti anche lontani dal mondo delle sette note.
 Re Lucertola
In effetti dall'analisi del corpus delle sue canzoni la componente sciamanica risulta avere un ruolo centrale. La musica, e in particolare il suo aspetto più ritualistico (legato cioè ai. concerti) era un mezzo per affrontare catarticamente le proprie paure e, insieme, farsi carico dei mali che affliggevano la propria tribù (ovvero il suo pubblico) e sconfiggerli. Allo stesso tempo, però, c'era anche un Jim più strettamente legato alla sfera sessuale e dall'atteggiamento meno messianico e decisamente più sbruffone.
Le         porte
div erse
Dalla loro fusione è nato il personaggio del Re Lucertola, croce e delizia del suo stesso creatore, ben presto rimasto ne vittima. Infine, vi era un'ulteriore terza faccia di Morison, romantica e ironica. Meno carismatica, forse, e pertanto meno appariscente è ricordata. Pur nella loro apparente diversità, tutti e tre questi aspetti della sua personalità artistica erano coerenti con quello che era il vero cuore della sua poetica. Nei comunicati stampa che avevano accompagnato l'uscita del primo album dei Doors nel gennaio del 1967 gli era stata attribuita la seguente dichiarazione: "Nessuna notte buia potrà impedire al sole di sorgere", aprendo alla fase più trasgressiva del gruppo. 
Gli piace tutto ciò che
riguarda la trasgressione, rovesciando l'ordine costituito. Mi interessa qualunque cosa abbia a che fare con la rivolta, il disordine, il caos, in particolare le attività apparentemente prive di significato. Gli sembra sia questa la strada per la Libertà. Nell'arco della sua breve carriera - 27 anni – come altri, deceduti alla stessa età, Morrison fu sempre fedele al seguente concetto: "La vita stanca, ma la morte fa rabbrividire. Meglio un giorno da pecora che una vita da sonnambulo. Ma quel che mi fa orrore, è i sangue de cittadnu".
Peccato però che nella maggior parte dei casi ci si sia fermati alle prime frasi, alla "trasgressione" e al "caos", non capendo che l'essenza del suo pensiero stava nell'ultima parola, "Libertà". Tutte le tematiche ricorrenti nei suoi testi, si possono ricondurre ad essa: il viaggio, la notte, la fuga, l'elemento acquatico, l'inesorabile scorrere del tempo, il tentativo di varcare le porte della percezione e quindi anche lo sciamanesimo, il sesso e l'amore. Nei sei anni in cui ha fatto musica, Jim non ha cantato di altro che di libertà - o della sua mancanza. Ovvero, di un valore assolutamente universale.
  Irrompere
     l'immaginario